I racconti di Rabbi Nachman

Questo Libro è stato ideato da: Edoardo David Galliani riletto e corretto da Michael Galante e Dan Marconi con l’aiuto di Josef Menda con il solo scopo di far conoscere gli insegnamenti dello Zadik, Rabbi Nachman Ben Simchá ben Feige, che il suo merito sia in nostra difesa e in difesa di tutto am Israel amen.

Disegni all’interno del libro di
www.jessicatdeutsch.com

Impaginazione Vittorio Nahum
vittorio@mouseart.it

86 Pagine

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Il senso di una Agadà

di Rav Reuven Roberto Colombo

Spesso siamo convinti che le Agadòt Chazàl, i racconti dei Chakhamìm, siano semplici storie popolari rivolte ad un pubblico poco colto e scarsamente istruito. Non vi è nulla di più insensato.
L’intera opera del grande Maestro Judàh Loev ben Betzalèl conosciuto come Maharàl di Praga (1509 – 1620) nasce proprio dalla necessità di trovare il senso nascosto in una storia. Del resto il termine Agadà deriva dal verbo Agàd che significa legare, fasciare, celare perché il vero significato racchiuso nelle parole di un racconto scritto col cuore e con la mente, se realmente compreso si occulta anche nell’anima del lettore in modo indelebile e costruttivo. Rabbì Nachmàn Di Breslàv, noto per la sua grande conoscenza del mondo della Kabbalà e profondo conoscitore delle opere classiche dell’ebraismo, usò proprio la Agadà, per ravvivare un mondo ebraico che soprattutto nei primi anni dell’ottocento, spinto da lotte e discussioni si stava lentamente raffreddando e per avvicinare il più possibile la gente ai più grandi valori morali della Torà. Credo sia un grande dono, oggi più che mai, poter leggere gli scritti di questo grande Maestro coadiuvati da note esplicative, che aiuteranno a scovare assieme a figli ed alunni la simbologia in questi racchiusa e a vivere la profondità degli insegnamenti avvolti dalla semplicità di un racconto mai superficiale. Vorrei solo chiudere con una piccola storia ascoltata in gioventù e che si incise profondamente in me:

Si narra che molti anni fa il Baal Shem Tov – il Maestro dal nome buono – fece uno strano sogno.
Nel sonno sentì una voce che gli diceva: “Nella tua vita hai fatto grandi cose. Molti hanno imparato da te perciò nel cielo si è deciso
che dopo la morte tu divida il posto a te destinato in paradiso con Rabbì Ghedalia di Riminov”. Il sogno si ripeté più volte così il
Baal Shem decise di recarsi a Riminov per conoscere il suo futuro coinquilino. Giunto in città, senza ovviamente rivelare il sogno, chiese
agli abitanti se conoscessero un Maestro dal nome Rabbì Ghedalia.

La gente però dichiarava di non conoscere nessun Rabbino con quel nome. Un tale, uscito da un’osteria alticcio e barcollante sentì il Baal
Shem che chiedeva notizie riguardo a questo benemerito sconosciuto.
“Io conosco Ghedalia” – disse. “Ghedalia? Intendi Rabbì Ghedalia lo Tzaddìk?” – chiese il Baal Shem. L’ubriaco scoppiò a ridere a
crepapelle. Sali per quella strada che porta verso la collina e troverai la sua casa. Ma sta attento, quello Tzaddìk ti si potrebbe mangiare
a colazione”. Il Baal Shem non capì l’ironia ma si incamminò.
In fondo a un sentiero trovò una piccola casa malridotta. Qualche cane randagio girava nel cortile pieno di immondizia e resti di cibo.
Il Baal Shem bussò alla porta. “Chi è” – Sentì urlare in modo sgraziato e poco gentile. La porta si aprì e un uomo grasso, molto grasso con un gran pezzo di pane in mano e la bocca piena gli si rivolse con tono minaccioso. “E tu chi sei?” Il Maestro rispose: “Mi chiamo Rabbì Israel. Posso stare assieme a te un solo giorno e una notte? Non so dove andare e amo le case solitarie”. Il Baal Shem non rivelò certo il motivo della visita a quell’omone. “Entra, siedi e non mi disturbare. Dormirai per terra e mangerai il tuo cibo” – Disse Ghedalia – “Mi pagherai 20 rubli e domani mattina te ne andrai”.

Che modi, pensò il Baal Shem. Avrebbe dovuto dividere la stanza per l’eternità con questo maleducato? E perché? Che cosa aveva fatto di
male? Questo era il giusto premio per essere stato un buon Maestro per tutta la vita? Ghedalia, seduto a tavola mangiava tutto il tempo.
Mangiava e mangiava, non parlava e non studiava. La bocca era troppo impegnata a ingurgitare cibo e bevande. Arrivò la notte e il
Baal Shem si addormentò con un solo pensiero: Che cosa aveva mai fatto di così grave per meritarsi un simile compagno di stanza in
paradiso? Arrivò il mattino. Il Baal Shem preparò la piccola borsa da viaggio e si avviò alla porta.

Ghedalia era sveglio da tempo. Mangiava seduto al tavolo da ore. Prima di uscire il Baal Shem guardò il padrone di casa e lo salutò
poi fu colto da un dubbio: forse il padre di Ghedalia era un noto Maestro ed è in sua memoria che a quel mangione è stato destinato
un buon posto in paradiso.

“Ghedalia” – disse il Baal Shem – “Una sola domanda: chi era tuo padre?”. Per la prima volta Ghedalia smise di mangiare, appoggiò il
pane, guardò nel vuoto e una lacrima gli scese sul volto.

“Mio padre?” – disse con un tono triste e rotto dal pianto – “Mio padre era uno straccivendolo. Quand’ero bambino mi portava sempre con sé e per la strada mi raccontava tutto ciò che aveva imparato dai suoi Maestri. Era piccolo e magro, mio padre, ma teneva me con una mano e con l’altra un
pesante pacco di vestiti usati. Un giorno eravamo in una foresta.
Un gruppo di soldati dello Zar, violenti ed ubriachi presero mio padre e gli ordinarono di inchinarsi e di baciare una croce. Mio padre rifiutò – Sono un ebreo e ho la mia religione e la mia dignità.
Sono uno straccivendolo ma non uno straccio. Non farò quello che mi avete chiesto -. Lo minacciarono di morte, ma mio padre non si chinò e non baciò quella croce. Lo presero e lo legarono ad un albero e ridendo gli diedero fuoco. Ero vicino a lui, piangevo e urlavo ma le mie urla erano nascoste dalle risate dei soldati. Era piccolo mio padre, piccolo e magro, allora la fiamma fu anch’essa piccola, piccola come lui. Nessuno la vide. Quella fiamma si spense e con essa si spense la vita di mio padre. Ed è da allora che ho deciso di mangiare perché anch’io porto sacchi di abiti usati e anche a me un giorno diranno con violenza di baciare una croce. Allora io dirò: Io sono uno straccivendolo ma non uno straccio. Io non lascerò mai gli
insegnamenti di mio padre. E sono sicuro che mi prenderanno e mi legheranno, poi mi bruceranno, ma io non sarò piccolo, io non sarò magro e la fiamma che uscirà dal mio corpo sarà grande, enorme e tutti potranno vedere anche da lontano che un ebreo deve saper morire ma mai abbandonare gli insegnamenti della Torà”.

Il Baal Shem uscì. Non si era accorto che le sue guance erano bagnate dalle lacrime. Alzò gli occhi al cielo e disse: Padrone del mondo, ora ho capito perché Ghedalia starà in paradiso. Quello che non comprendo è che cosa ho fatto io di così importante per poter stare accanto a ad uno tzaddìk come lui per l’eternità”.

Una piccola, grande storia che se incisa nell’anima, nella mente e nel cuore potrebbe aiutare ognuno di noi a non fermarsi mai sulla banalità di un insano giudizio.

Grazie agli autori i questo nuovo ed importante libro.
Roberto Colombo

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